“Eaux de Senteurs”, ou bien “Èsprits de Parfum”?

La più grande e significativa differenza tra le due tipologie di profumo che hanno caratterizzato l’arte profumatoria del XVIII Secolo (le “Eaux de Senteurs” e gli “Ésprits de Parfum”) é la concentrazione finale delle essenze nel prodotto finito. 

La Regina Maria Antonietta si riferiva alle sue essenze concentrate nelle commissioni con il nome di “Ésprits aparçants”, e si racconta che avesse inserito tre fiale di profumo sotto agli indumenti prima di salire sul patibolo per darsi un poco di coraggio. Leggenda a parte, fonti storiche confermano che i profumi prediletti da Maria Antonietta erano ideati dai suoi Profumieri Fargeon ed Houbigant, che erano riusciti ad ottenere il titolo di “Profumieri di Corte”.

Ed è a partire dalla sua ultima ordinazione prima della tentata fuga verso Varennes che possiamo analizzare la varietà delle tipologie di composizioni olfattive disponibili all’epoca.



Oltre agli aceti per i nervi ed i “sensi” e la varie pommades, la Sovrana aveva commissionato bottiglie di “Acque di Sentori” (“Eaux de Senteurs”) e di “Spiriti Penetranti” (“Ésprits Aparçants”), che potremmo classificare in modo generico con “acque per la toeletta” e “profumi puri”.

Sebbene non esista profumo nel XVIII secolo che sia paragonabile alle evanescenti e moderne acque rinfrescanti per la toeletta, dopo numerose prove tecniche di composizione si evince che la differenza tra le due tipologie essenze nasce dalle diverse e laboriose tecniche di esecuzione, che ne consegue la differente concentrazione della parte essenziale. 

Le acque di sentori venivano infatti estratte esclusivamente tramite l’uso dell’alambicco, seguendo una lunga lista di passaggi. La materia floreale veniva posizionata nell’alambicco assieme ad un’abbondante quantitá di spirito di vino e fatta macerare assieme alla parte legnosa e resinosa che si desiderava impiegare (tutto secondo quantitá funzionali e ben bilanciate). Talvolta, quando la materia resinosa era di difficile distillazione, veniva fatta bollire assieme alla parte floreale per creare una base più limpida sulla quale sviluppare il profumo. Dopo la distillazione (dalla quale si ricavava circa la metà o un terzo del prodotto iniziale), l’essenza aumentava di grado alcolico, come conseguenza dell’evaporazione della parte acquosa rimanente nello spirito di vino, ed era pronta per essere trattata e addizionata da altre materie prime (tra le quali, le acque semplici distillate di rosa, lavanda e fiori d’arancio) anche in vista di successive distillazioni.

Tra le acque di sentori più complesse, l’acqua “Millefiori”, la cui ricetta suggeriva di distillare in più volte la materia floreale addizionata di volta in volta di un quantitativo di fiori diversi per ogni stagione, distillati nello stesso spirito di vino. Un processo lungo e laborioso, ma utile al fine di estrarre sia la parte odorosa che la parte medicamentosa dell’ingrediente.


Le acque di sentori erano infatti impiegate per la sommaria detersione, oltre che per profumare la pelle e sfruttare il blando effetto trattante sulla cute, e venivano conservate in porta profumo da toeletta. Vendute ad un costo ridotto rispetto ai più concentrati “profumi puri”, venivano utilizzate più volte al giorno come rinfrescanti e disinfestanti, secondo la convinzione che gli “spiriti ardenti” (nati dall’unione di acqua e fuoco nell’alambicco) potessero tenere a bada molte delle pestilenze che circolavano all’epoca. Reperibili dai profumieri, essi ne vendevano in grandi quantitativi, ideandone sempre di nuovi. Tra i più conosciuti, l’ “Eau spiritueuse de Roses”, l’ “Eau de Lavande”, “Eau de Millefleurs”, l’ “Eau sans Pareille”, l’ “Eau Celeste”, e la famosa “Eau de Cologne”.

La loro percentuale in essenza era paragonabile ad una moderna “Eau de Toilette”.  





D’altro canto, le commissioni personalizzate degli “Ésprits de Parfum” della Sovrana Maria Antonietta (e della nobiltà tutta) erano meno complesse dal punto di vista dei passaggi, ma più ardue da comporre, poiché era necessario dosare le essenze pure in modo ottimale, al fine di armonizzare tra di loro accordi più evanescenti ed essenze più persistenti.

Erano queste le composizioni in cui venivano impiegate le preziose assolute estratte ad enfleurage, per la cui breve persistenza sulla pelle avevano necessità di essere combinate con note di fondo legnose e resinose, quanto bastasse per estendere la loro durata, quanto bastasse per non sovrapporle.

I preziosi estratti ad enfleurage venivano forniti ai profumieri dai centri di lavorazione, se non erano essi nella condizione di trattare loro stessi la materia prima, ed elaborati da enfleuragisti compensati per la loro paziente mano d’opera. Tinture vegetali e animali venivano poi impiegate per dare intensità all’essenza, venduta poi in bottiglie più ridotte a testimoniare l’esclusività dei suoi ingredienti. Numerose commissioni, quelle della Nobiltà tutta, affascinata da tutto ciò che fosse esclusivo e diverso.


Tra gli ésprits puri passati alla storia si ricordano il “Bouquet Aux Mille Fleurs” (“Parfum du Trianon”), ed il profumo commissionato da lei per Hans Axel von Fersen, la cui formula venne annotata dal profumiere di corte Fargeon nel suo formulario con il nome di “Homme Inconnu”. 

Molte delle formule delle commissioni dei profumi puri (essendo stati commissionati in forma strettamente privata) non sono mai state trascritte nei formulari, ma grazie alla struttura e l’esclusività con i quali essi furono concepiti hanno conquistato un posto d’onore tra le pagine della grande storia dell’arte profumatoria.



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