“Le Bouquet aux mille Fleurs”: il profumo del Trianon

“Monsieur, mi aspetto da Voi che mettiate tutto il Trianon in una bottiglia. 
Amo talmente tanto questo luogo, che voglio portarlo ovunque, con me”. 


         

Verso la fine del 18esimo secolo, la Regina Maria Antonietta (oppressa dalla rigida etichetta di corte) si ritirò presso la tenuta del Petit Trianon. 


Viveva in una residenza signorile e, quando ne aveva il desiderio, si ritirava nella sua fattoria, l’Hameau.

Tanto era grande l’amore per quei luoghi, che la Regina chiese al suo Profumiere Fargeon di farle visita all’alba, perché potesse cogliere appieno l'essenza di quel posto meraviglioso.

Ella desiderava che Fargeon racchiudesse per lei quel luogo in un flacone.

È a partire dalla commissione della Sovrana al suo Profumiere che nacque il mio intento di ricostruire questa leggendaria fragranza.

Avevo letto sulla vita e sull’estro di Fargeon, mi ero documentato a lungo studiando sui formulari d’epoca le quantità, il rapporto fra le varie essenze, le tecniche di estrazione fino a quel periodo scoperte ed utilizzate.

Oli essenziali, estratti da enfleurages, tinture vegetali e di origine animale, era tutto ciò che io avrei dovuto utilizzare per far rivivere quella composizione olfattiva, dopo più di 300 anni.

La mia sfida personale, non consisteva nel combinare tra di loro le varie essenze, ma nel comporre tenendo conto dei gusti dell’epoca.

Seppure non fosse nello stile di Maria Antonietta prediligere composizioni fin troppo intense, Fargeon sapeva che la Sovrana si era interessata ai profumi di Profumiere rivale: Monsieur Houbigant, che aveva catturato la benevolenza di Maria Antonietta componendo per lei “Spiriti di Profumo Penetranti” (“Ésprits Aparçants”).

La fragranza che la Regina richiedeva a Fargeon doveva quindi essere non solo persistente, ma avere un sillage che le permettesse di esserne circondata.

E di essere così riconosciuta.

Prestare il naso alla realizzazione di una composizione olfattiva è un desidero mosso sempre da grande curiosità, sopratutto quando un profumo è stato concepito per un personaggio così singolare.


 

Fargeon compose il “Parfum du Trianon” ispirandosi ad una sinfonia musicale. 

Una melodia unica, che potesse evolversi sulla pelle della regale committente che lo avrebbe indossato. 


Scelse 16 note, tra le più amate della Sovrana, armonizzandole in una struttura olfattiva seguendo i precisi dettami dell’arte profumatoria, tramandati a lui da una lunga tradizione famigliare di Profumieri.


In apertura vi erano il cedro ed il bergamotto italiano. Freschi, dall’odore semplice e genuino. Aveva appreso che la raccolta dell’essenza tramite spremitura della scorza degli agrumi donava all’essenza un sentore più fine, di qualità gran lunga superiore a quella estratta tramite distillazione.


Scelse il galbano resinoso, dall’odore balsamico, a voler ricordare la freschezza campestre dell’erba rigogliosa. 


La lavanda, con la quale la Sovrana soleva aspergersi per placare le emicranie, dal sentore rasserenante e tipicamente provenzale. 


La violetta, della quale utilizzò le foglie per ricavare una tintura, nella quale fece infondere la radice dell’iris, poiché essa conferiva allo spirito di vino un sentore di petali di violetta.


Il fiore d’arancio, odore inebriante, della quale prima fioritura era solita regalare dei  rami fioriti alle nobili Zie, e lo armonizzò con il gelsomino, puro ed innocente, ed il solenne giglio bianco.


Completò il bouquet di fiori bianchi con l’essenza giunchiglia e della tuberosa (fiore che padroneggiava nella Corte di Versailles), per lasciare il posto d’onore alla rosa, di indiscussa regalità, che Maria Antonietta tanto amava, e che cresceva rigogliosa nei dintorni del tempio dell’amore, vicino al Petit Trianon. 

Era il fiore che tra tutti spiccava con un composto ma deciso, regale accento. 


Sigillò il tutto con accordi legnosi di sandalo e legno di cedro, che ricordavano i possenti alberi secolari che crescevano nei dintorni. 


Un tocco di vaniglia, dolce e sontuosa, accentuata dal sentore della resina del benzoino. 


Ambra grigia di capodoglio e muschio di cervo del Tonchino che, come da tradizione olfattiva, rinforzavano la tenuta del profumo, donando alla fragranza una misteriosa profondità.



     

       

Nel comporre il profumo, due potevano essere le difficoltà più grandi nelle quali potessi mai imbattermi. 


La prima: reperire le tinture di muschi animali.


L’arte profumatoria (all’epoca, come oggi) ammetteva e suggeriva di “frodare” gli ingredienti di cui non si poteva disporre, per un ventaglio di motivazioni veramente molto ampio.

Frodare gli ingredienti più pregiati, estendere note deboli con essenze equivalenti, prediligere sentori più legnosi e pungenti per colmare delle lacune sulla struttura di un profumo.

Questa accuratezza, questa frode storicamente corretta, può essere di grande aiuto oggi nella ricerca di valide e filologiche sostituzioni di essenze delle quali la reperibilità in grandi quantità è pura utopia. 

Gli ingredienti più pregiati, all’epoca come oggi, sono i muschi animali, in particolari quelli di capodoglio (dal quale deriva l’ambra “grigia”) e di cervo del Tonchino. 

Note olfattive per lo più irreperibili.

Poiché disponevo di buona quantità di tintura di ambra grigia, il mio interesse risiedeva nel voler diluire il prezioso muschio di cervo di cui ero in possesso con una nota dallo stesso sentore (e sopratutto, storicamente inattaccabile).

Fu in un manuale d’epoca, che trovai la risposta. La più corretta e fedele delle sostituzioni: l’ambretta muschiata.

Nei manuali d’epoca, essa viene considerata come un’alternativa dal medesimo odore, che solo i nasi più esperti erano in grado di distinguere dalla vera ambra del Tonchino.

Prima difficoltà, superata.


                
Il secondo, arduo problema, consisteva nel riproporre la nota del giglio.

Se all’epoca reperire l’enfleurage di giglio era veramente poco complesso, disporre oggigiorno di essenza di giglio è veramente molto arduo.

Bramarne l’assoluta estratta ad enfleurage è stato un desiderio irrealizzabile, fino a quando ho avuto modo di fare conoscenza con un artigiano della Provenza, che ha una piccola attività di enfleurage. A peso dell’oro, mi ha venduto il prezioso enfleurage di giglio bianco. 

Sebbene tutte le essenze naturali siano allo stesso modo preziose, avevo reperito le più rare.

La composizione poteva avere inizio.



Composi il profumo.

Era un liquido dorato, altamente odoroso.
Il galbano così piccante viziava il bergamotto ed il cedro, il cui sentore lasciava improvvisamente il posto a un vento caldo dal sentore di fiori bianchi, con accenni di ambra e vaniglia.
L’iris e la lavanda si erano unite in questa armonia floreale, che ricordava nel complesso l’odore delicato e innocente dei campi fioriti della Provenza. 
Era un sentore campestre, di una presenza meravigliosamente evocativa. 
Le note si erano unite in una sinfonia unica, nella quale i singoli ingredienti avevano ceduto la loro unicità in un contesto estemporaneo. 

Il giardino che tanto amava Maria Antonietta, 
era tornato a fiorire. 









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