“Alla rosa” (e al gelsomino)

Dal celebre quadro della pittrice Le Brun, il dettaglio affatto scontato del bouquet della Sovrana fornisce indicazioni ben precise sulle materie prime utilizzate nella Profumeria del 18esimo Secolo, riconoscendo due fiori ampiamente usati (e nel caso specifico, uno di essi distinguibile solo aguzzando bene la vista): rosa damascena e gelsomino Sambac.



La quantità di rose necessarie ad ottenere pochi grammi della sua essenza è talmente elevata, da renderla una delle essenze più costose della profumeria.

Dal sentore di miele della centifolia a quello speziatodella cinese, passando attraverso il ricordo delle mele cotogne della damascena, non c’è rosa che non abbia un proprio odore ed una propria collocazione nella storia.

Enfleurage e distillazione sono due tecniche che si prestano in modo ottimale ad estrarne l’essenza, con l’intenzione di preservare la stessa profumazione che si avverte annusando il petalo più esterno del fiore.

Di colore rosso o pallido, una rosa che emana il suo tipico odore non conosce soluzioni moderne che ne velocizzino la crescita, pena l’assenza del proprio odore.

Falsificare l’odore della rosa durante la composizione dei profumi, tuttavia, era ben noto anche ai profumieri del 18esimo secolo.

Si badi bene, che la falsificazione olfattiva non è sinonimo di furbizia o truffa, ma alto savoir faire necessario ad estendere  talvolta l’headspace di una nota floreale debole, in un contesto di filologia storica.

Non di meno importanza, affiancato alla rosa nel dipinto vi è il gelsomino della variazione Sambac. Dai petali affusolati e più lunghi di quelli della variazione Grandiflorum, con un inebriante profumo tipico dei fiori bianchi in cui accenni di neroli e di cannella ne caratterizzano, il gelsomino accetta come unica tecnica di estrazione quella dell’enfleurage.



Se per estrarre l’essenza di rosa la scelta poteva ricadere sulla distillazione o sull’enfleurage, è necessario apprendere che il calore della distillazione è mal tollerato da tutti i fiori bianchi e delicati come il gelsomino, le tuberose, e i gigli, per cui l’enfleurage risulta l’unico mezzo di estrazione.

L’enfleurage è tra le tecniche di estrazione la più complessa e la più affascinante, considerata all’epoca una consuetudine ed un lavoro vero e proprio.

L’enfleurage richiedeva così tanta paziente manodopera da non tenere conto di età o di esperienza, poichè ciò che realmente conta è solo molto tempo a disposizione.

Il tempo necessario perché il fiore “appassisca dormendo”, il tempo necessario per cui la sugna animale si carichi della parte essenziale del fiore, che posto su lastre di vetro cede al lardo animale con il quale viene messo a contatto il proprio aroma.


Nel 18esimo Secolo, l’inebriante potere dei fiori viene accostato sovente a quello neutralizzare dei muschi animali, con l’intento di aumentare il potere coprente delle essenze; è solo verso la fine del 18esimo Secolo, che la moda dei profumi francesi cambia radicalmente in seguito alle tendenze promulgate dalla stessa Sovrana Maria Antonietta.

Maria Teresa d’Austria ammoniva le figlie riguardo all’uso di essenze opulente, istruendo le dame di camera all’aspersione di solinote delicate. Per questo motivo, la Regina Maria Antonietta prediligerà sentori semplici e campestri, sapientemente armonizzati dal suo profumiere di Corte Fargeon. 



Semplici, inebrianti, più accostabili ai gusti moderni, i profumi di fine 18esimo Secolo non mancano di regalare ancora oggi emozioni sublimi a chi li compone e a chi presta il proprio naso per una prova olfattiva.

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